Il giudice del tribunale bolognese Emma Cosentino ha ordinato all'Azienda Ospedaliera Universitaria di Bologna - Policlinico "Sant'Orsola Malpighi" ed all'Azienda Ospedaliera Universitaria "Federico II" di Napoli di voler procedere immediatamente e comunque non oltre il termine du 10 giorni dalla comunicazione del provvedimenti della Sezione Lavoro del Tribunale Ordinario di Bologna al trasferimento delle ricorrenti presso l'Azienda partenopea. Due aziende sanitarie vengono condannate per non essersi accordate sui tempi di trasferimento di due Infermieri.
Reddito e pensione di cittadinanza e Quota 100 sono due misure contenute nel decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri del 17 gennaio 2019, Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni. Reddito di cittadinanza (Rdc) Il Reddito di cittadinanza è una misura di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro e di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale, volta a favorire la promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione. Il Rdc assume la denominazione di Pensione di cittadinanza per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni, adeguata agli incrementi della speranza di vita. Quota 100 Il decreto introduce il diritto alla pensione anticipata, senza alcuna penalizzazione, al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni. Il ritiro dal lavoro sarà possibile, in prima applicazione, dal primo aprile 2019 per i lavoratori privati che abbiano raggiunto i requisiti indicati entro il 31 dicembre 2018 e dal primo agosto 2019 per i lavoratori pubblici che li abbiano maturati all’entrata in vigore del decreto. Inoltre, potranno andare in pensione dal prossimo primo settembre (inizio dell’anno scolastico) i lavoratori della scuola.
“È anticostituzionale ai fini dell’ottenimento del congedo straordinario retribuito per assistere il disabile, chiedere al dipendente la convivenza preesistente con il disabile stesso”. È una decisione storica quella della Corte Costituzionale, che con la sentenza n 232 del 7 dicembre 2018, sancisce un principio che aprirà la strada a decine di ricorsi. L’agente penitenziario chiedeva di beneficiare del congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre malato. Il Ministero della giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, del quale era dipendente dopo avere riscontrato che il lavoratore e il genitore da assistere non convivevano, rigettava l’istanza. Il ricorrente impugnava tale diniego con ricorso cautelare.
In merito alla questione il T.A.R. Lombardia solleva la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di sostegno della maternità e della paternità a norma dell’art. 15 L. 8 marzo 2000 n. 53) nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo straordinario retribuito per l’assistenza di un genitore malato, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere.
Le ragioni della Corte Costituzionale “Il diritto del disabile di «ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita» (sentenza n. 213 del 2016, punto 3.4. del Considerato in diritto), inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e a una integrazione effettiva, rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana. Nella disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del disabile convergono non soltanto i valori della solidarietà familiare, ma anche «un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale» e impongono l’interrelazione e l’integrazione «tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela» (sentenza n. 215 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto).” Chiarito ciò la Corte prosegue: “Il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per l’identificazione dei beneficiari del congedo, si rivela idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del disabile. Tale presupposto, tuttavia, non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico. Tale preclusione, in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost., sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l’effettività dell’assistenza e dell’integrazione del disabile nell’ambito della famiglia, tutelata dal legislatore mediante una disciplina ispirata a presupposti rigorosi e contraddistinta da obblighi stringenti.“ Viene pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.
Per la Corte Costituzionale la trattenuta in questione è legittima. La decurtazione della retribuzione lorda ai fini fiscali si prefiggerebbe di evitare disparità di trattamento tra lavoratori in regime di TFS e lavoratori in regime di TFR. Peraltro, il regime TFR si rivelerebbe più vantaggioso rispetto al regime TFS. Il Tfr, infatti, si incrementerebbe con un tasso superiore all’inflazione e la decurtazione della retribuzione lorda sarebbe poi recuperata in aumento ai fini previdenziali. Dunque, la decurtazione della retribuzione non si atteggerebbe come un contributo previdenziale obbligatorio, ma sarebbe l’unico strumento atto a evitare un indebito vantaggio per il personale in regime di TFR. Ciò garantirebbe il principio dell’invarianza della retribuzione, riconducendo a eguaglianza i regimi retributivi e contributivi e scongiurando nuovi oneri a carico del bilancio statale. Difatti, senza la decurtazione si determinerebbe un aumento della retribuzione lorda ai fini fiscali e, in pari tempo, della retribuzione netta. Ciò produrrebbe una disparità di trattamento economico fra dipendenti aventi la stessa retribuzione complessiva, in contrasto con il principio di parità di trattamento contrattuale e retributivo dei lavoratori delle P.A. che svolgano eguali mansioni. La decurtazione, tra l’altro, sarebbe recuperata in virtù di un incremento figurativo ai fini previdenziali e del calcolo del Tfr, meccanismo correttivo finalizzato a evitare pregiudizi ai dipendenti in regime di TFR. In definitiva, è legittimo per la Corte Costituzionale trattenere ai dipendenti della P.A. il 2,5% dell’80% della retribuzione. La posizione della Corte, inoltre, non è neanche in violazione con il diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato (art. 36 Cost.). Corte Costituzionale, sentenza n. 213 del 22 novembre 2018
L’Elemento perequativo: è uno strumento contrattuale che è stato introdotto per sterilizzare la perdita del diritto al bonus di 80 euro conseguenza logica dell’aumento strutturale degli stipendi andando così a colpire esclusivamente i redditi più bassi.
IL NUOVO CCNL PREVEDE PENALITÀ NEI CONFRONTI DEGLI OPERATORI SANITARI che Senza Giustificato Motivo Non Partecipi alla Formazione Continua e non Acquisisca i Crediti formativi Previsti nel Triennio, non potrà partecipare per il triennio successivo alle selezioni interne a qualsiasi titolo previste. (fasce retributive ; incentivi, Selezioni Interne Come Coordinatore ed ex Posizione Organizzativa).
(Corte di Cassazione - sezione Lavoro - sentenza n. 22177 del 12 settembre 2018) Un padre può fruire dei riposi giornalieri per maternità seppure la moglie, lavoratrice autonoma, stia contemporaneamente beneficiando del trattamento economico derivante dalla nascita del figlio. Con la sentenza 22177/2018 depositata ieri, la Corte di cassazione ha respinto la tesi dell’Inps secondo cui la fruizione dei riposi da parte del padre lavoratore dipendente (2 ore al giorno nel caso di orario di almeno 6 ore) sarebbe alternativa all’indennità per la madre, così come è previsto quando quest’ultima è una lavoratrice dipendente. La Suprema Corte sottolinea che l’articolo 40 del Dlgs 151/2001 stabilisce espressamente la possibilità per il padre di utilizzare i permessi «nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente». A sua volta quest’ultima può rientrare al lavoro in ogni momento dopo il parto, anche mentre beneficia dell’indennità. Dunque non c’è il requisito dell’alternatività tra riposi e trattamento economico. Di conseguenza, dato che entrambi i genitori possono lavorare dopo la nascita del figlio, «risulta maggiormente funzionale affidare agli stessi genitori la facoltà di organizzarsi nel godimento dei...benefici previsti dalla legge per una gestione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela del complessivo assetto di interessi perseguito dalla normativa.
L’INPS ha recentemente rilasciato una guida completa alla malattia del lavoratore dipendente; la guida molto curata si concentra soprattutto sul certificato medico telematico e sulle visite mediche di controllo, la cui normativa ha subito qualche modifica con la recente creazione del Polo Unico delle visite fiscali. Ma quindi cosa devono fare i lavoratori in caso di malattia? A questa semplice domanda risponde in maniera molto esaustiva l’INPS attraverso questa semplice guida pratica da stampare e leggere con molta attenzione. L’Istituto risponde quindi ad una serie di domande frequenti sull’argomento poste sia dai lavoratori dipendenti, che dai datori di lavoro, sia privati che pubblici.
Modalità di presentazione della domanda di pensione anticipata lavorigravosi e verifica dellasussistenza dei requisiti da parte dell'INPS.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 giugno il decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 18 aprile sulle modalità di presentazione delle domande di pensione 2019 con i requisiti degli addetti ai lavori gravosi. In particolare il presente decreto definisce la procedura di presentazione della domanda di pensione con i benefici dei lavori gravosi; definisce inoltre le modalità di verifica della sussistenza dei requisiti da parte dell’INPS. Il Decreto è stato emanato in attuazione dell’articolo 1 comma 253 della L. 205/2017 (legge di bilancio 2018). Come indica l’articolo 1, commi 147 e 148, della legge 205/2017, l’opzione per i lavori gravosi della pensione anticipata o per l’Ape Sociale è riservata a tutte le persone che hanno svolto attività gravose per un determinato periodo di tempo. Lavori gravosi, pensione anticipata e APE social La normativa sulle pensioni stabilisce che nel 2018 i lavoratori con i requisiti previsti per i cosiddetti lavori gravosi o particolarmente pesanti possono accedere: all’APe sociale: se in possesso di almeno 63 anni e almeno 36 anni di contributi; oppure, se più conveniente, possono accedere alla pensione anticipata al raggiungimento di 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica; in questo caso però devono avere almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età. A chi spettano le agevolazioni per i lavori gravosi Il Decreto in oggetto stabilisce che possono presentare la domanda di pensione con i benefici previsti per i lavori gravosi, i lavoratori che si trovino nelle seguenti condizioni: lavoratori dipendenti con almeno 30 di anzianità contributiva e che svolgono da almeno sette anni nei dieci precedenti il pensionamento le professioni gravose; lavoratori in possesso di un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni, addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti. Elenco lavori gravosi Le attività gravose, inizialmente fissate in 11 categorie sono poi state ampliate a 15 (Decreto Min. Lavoro del 5 febbraio 2018), ecco quali sono: gli operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli e di pellicce; conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; conduttori di mezzi pesanti e camion; personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; addetti all’assistenza di persone in condizioni di non autosufficienza; insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido; facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati; personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti; siderurgici di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature non già ricompresi nel perimetro dei lavori usuranti; Operai dell’agricoltura, della zootecnia e pesca; Pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare dipendenti o soci di cooperative; Marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti marini ed acque interne Lo svolgimento di lavori gravosi per APE social deve essere attestato dal datore di lavoro tramite modulo Ap116.
Pensioni lavori gravosi, come fare domanda Le domande dovranno essere presentate esclusivamente in modalità telematica tramite il sito dell’INPS, con il modello predisposto dall’istituto previdenziale e approvato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La domanda deve essere corredata dalla dichiarazione del datore di lavoro che attesta: i periodi di svolgimento delle professioni gravose, il contratto collettivo applicato, il livello di inquadramento attribuito, le mansioni svolte, il codice professionale ISTAT ove previsto. In caso di mancata attestazione del datore di lavoro (cessata attività) il lavoratore potrà allegare una autocertificazione. Accertamenti sui requisiti da parte dell’INPS Il decreto stabilisce che dopo la presentazione della domanda l’INPS procederà a tutte le verifiche del caso. Se non sarà allegato la dichiarazione del datore di lavoro, ma l’autocertificazione, l’INPS passerà la pratica all’ispettorato del lavoro, che effettuerà le dovute verifiche. Blocco aumento età pensionabile lavori gravosi Ricordiamo infine che l’art. 1 comma 147 della legge di bilancio 2018 ha previsto il blocco dell’aumento dal 2019, pari a 5 mesi dell’età pensionabile per i lavoratori con i requisiti degli addetti ai lavori gravosi. Quindi i requisiti dell’età anagrafica rimangono invariati per il 2019.
“Occorre dare prevalenza alle procedure di mobilità rispetto all’indizione di un nuovo concorso, e rispetto alla procedura di stabilizzazione”. Con la sentenza depositata il 28 maggio 2018, il Tar di Lecce condanna la Asl a dare corso alle mobilità, annullando ogni atto lesivo degli interesse dei ricorrenti. I fatti A ricorrere contro la Asl di Lecce, erano stati 30 infermieri con contratto a tempo indeterminato fuori provincia e/o Regione, inseriti in graduatorie di mobilità efficaci e valide, che avevano visto la Asl bandire un concorso per 100 infermieri, di cui un 50% da coprirsi mediante stabilizzazione ed un 50% da coprirsi mediante accesso dall’esterno. Ai trenta infermieri in graduatoria di mobilità non era stata data nessuna spiegazione in merito alla scelta di non attingere alla suddetta. Il Tar di Lecce, recuperando gli orientamenti sia della giurisprudenza che quelli normativi, ovvero: • Art 33 del Decreto Legislativo 30 Marzo 20011, n.165 • La Cassazione lavoro, con sentenza 12559/2017, che stabilisce come rispetto allo scorrimento delle graduatorie, ha priorità la mobilità volontaria. Dichiara illegittimo la condotta della Asl di Lecce in merito all’azione di reclutamento degli infermieri
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 77/2018 stabilisce che il lavoratore soccombente in una causa di lavoro non è più tenuto a pagare le spese legali. La decisione dei giudici stabilisce dunque l’incostituzionalità dell’art. 92 del C.p.c., recentemente riformulato.
Non può più essere condannato a pagare le spese legali il lavoratore che perde una causa di lavoro. Dunque, in caso di decisione a sfavore del ricorrente (per esempio un lavoratore che impugna un licenziamento) l’esborso economico non può riguardare in nessun caso le spese legali. La decisione è arrivata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77/2018, al fine di salvaguardare quei lavoratori che per rivendicare i propri diritti sono costretti ad intentare cause di lavoro con il serio rischio di soccombere in giudizio e di dover pagare le spese della controparte, ossia il datore di lavoro, così come stabilito dal giudice. Processo civile: il nuovo principio della Corte Costituzionale Nell’affermare l’esenzione del lavoratore ricorrente a pagare le spese legali, nella causa di lavoro da lui promossa, in caso di giudizio a sfavore, la Corte Costituzionale afferma un nuovo principio secondo il quale: “il lavoratore deve avere la possibilità di promuovere una causa senza poter conoscere elementi di fatto, rilevanti e decisivi, che sono nella disponibilità del solo datore di lavoro” Il giudice dovrà, in particolare, verificare se vi sia o meno una situazione di assoluta incertezza su questioni di fatto, eventualmente riconducibili alle “gravi ed eccezionali ragioni” che consentono la compensazione delle spese di lite. La pronuncia va in contrasto con l’art. 92 del C.p.c. il quale, nella sua ultima formulazione del 2014, impediva in via generale al magistrato di compensare tra le parti le spese di giudizio. L’incostituzionalità dell’articolo menzionato fa sì che, in caso di soccombenza totale di una parte, il giudice civile può compensare le spese di giudizio, parzialmente o per intero, non solo nelle ipotesi di “assoluta novità della questione trattata” o di “mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti” ma anche quando sussistono “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”. La riforma del 2014 è stata, dunque, giudicata del tutto lesiva del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto lascia fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa. Cosa cambia nella causa di lavoro con la nuova pronuncia? Sostanzialmente il lavoratore può far valere maggiormente i suoi diritti intentando un causa di lavoro, riducendo notevolmente i rischi in caso di giudizio sfavorevole. Non a caso, con la riforma del 2014, si è potuto assistere a un drastica riduzione dei contenziosi in materia di lavoro. Al contrario di quanto si possa pensare, questa non è imputabile a una violazione minore dei diritti dei lavoratori, al contrario, ma di un esborso economico spesso importante senza alcuna certezza di portare a casa la vittoria. Quando possono essere compensate le spese legali? Si ricorda infine che la compensazione delle spese legali si ha in caso di: soccombenza reciproca: cioè quando entrambe le parti perdono in tutto o solo in parte; novità delle questioni dibattute: si verifica quando, ad esempio, il giudice è chiamato ad applicare una norma nuova, la cui interpretazione è quindi poco conosciuta al cittadino; cambio di orientamento cagionato, dopo l’avvio della lite, da mutamenti della legge o da decisioni della Corte Costituzionale o della Corte di giustizia europea. Pertanto, con questa nuova pronuncia si introduce una deroga per il lavoratore che perde la causa contro l’azienda.
NurSind: “non abbiamo firmato perché è un contratto in perdita per i lavoratori. Tuteleremo i nostri diritti e quelli dei lavoratori nelle sedi giudiziarie. L’obbligo di svolgere lavoro straordinario è inaccettabile per la dignità dei lavoratori.” A seguito della certificazione della Corte dei Conti oggi presso l’Aran si è tenuto l’incontro per la sottoscrizione definitiva. Poco prima delle ore 16 i sindacati hanno sottoscritto definitivamente il CCNL 2016-2018 del comparto sanità. NurSind, il sindacato delle professioni infermieristiche, ha ritenuto di non sottoscriverlo. “E’ un atto di coraggio e coerenza – commenta Andrea Bottega segretario nazionale NurSind – perché abbiamo fin da subito evidenziato come questo testo sia peggiorativo per la categoria e per molti lavoratori che garantiscono ogni giorno il diritto costituzionale alla salute. In particolare vogliamo ricordare che: • l’elemento perequativo che compensa ai redditi più bassi il venir meno del bonus previsto dal Governo, termina al 31 dicembre 2018; • le indennità di turno in diversi casi non saranno più erogate (con conseguente perdita economica) perché è stata definita una soglia più elevata da quanto stabilito in molti contratti aziendali; • scompare il diritto alla pausa mensa per il personale che garantisce i servizi nelle 24 ore anche se lavora 12 ore consecutive; • compare l’obbligo di svolgere lavoro straordinario; • si precarizzano gli incarichi di coordinamento (capo sala); • si deroga al riposo minimo giornaliero; • si estendono le indennità di area critica ad alta funzione infermieristica al personale di supporto ma solo dove l’impegno richiesto è notevolmente inferiore rispetto allo stesso personale che lavora nelle aree internistiche o chirurgiche; • gli istituti contrattuali non sono esigibili in egual modo tra i dipendenti penalizzando soprattutto il personale turnista; • la valorizzazione della carriera professionale per il personale sanitario non può avere applicazione perché non c’è personale in servizio che ne abbia i requisiti (fatta eccezione per il personale di triage dei Pronto Soccorso). Un contratto che lede la dignità dei lavoratori che aspettavano un minimo di riconoscimento dopo 9 anni di blocco, non può essere sottoscritto da chi ritiene prioritario che la rappresentanza dei lavoratori venga prima di ogni altro interesse anche quello della stessa organizzazione sindacale. NurSind, - conclude il segretario nazionale – lotterà nei tribunali per tutelare il diritto alla contrattazione decentrata per chi ha partecipato alla trattativa nazionale e i diritti dei lavoratori che questo contratto lede. ”
L’INAIL è obbligato a pagare la rendita per inabilità permanente in relazione alla malattia professionale, causata da un numero eccessivo di ore di straordinario. A stabilirlo la Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza n.5066 del 5 marzo 2018. La dipendente di una azienda aveva visto respingere dalla Corte di Appello di Brescia, la richiesta di indennizzo da parte dell'INAIL, per la malattia professionale, caratterizzata da un grave stato di ansia e di depressione, con grave stato di adattamento, insorto a causa di un eccessivo di ore di straordinario, alle quali era stata costretta ad adempiere. La Corte di Appello, nonostante avesse riconosciuto l’esistenza del disturbo lamentato dalla dipendente, rifiutava a questa la richiesta di indennizzo, perché la malattia professionale descritta non rientrava nell’ambito del rischio assicurato ex articolo 3 Testo Unico 1124 del 1965, che riguardava solo la malattia professionale tabellata e non tabellata, contratta nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni specifiche in tabella, e che la malattia correlata all’organizzazione del lavoro non è assicurata e quindi non indennizzabile. La dipendente decide quindi di impugnare la Sentenza; La Corte di Cassazione accoglie il ricorso e condanna l’INAIL al pagamento della rendita di inabilità permanente in ordine alle seguenti motivazioni: secondo la Corte di Cassazione, il consolidato orientamento giurisprudenziale, ha stabilito che non solo il rischio specifico alla lavorazione va risarcito, ma anche il rischio improprio. Tutti i soggetti sono tutelati nell’ambito dell’attività lavorativa, a prescindere dalla manualità e dalla mansione. La tutela assicurativa, così come espresso dalla Corte Costituzionale, va rapportata al lavoro in se’ e per se’. Inoltre sempre la Corte Costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 3 comma 1 TU n. 1124 del 1965, stabilendo che l’assicurazione sia obbligatoria anche per le malattie professionali diverse da quelle tabellate, purché sia provata la causa di lavoro. Il Giudice, nell’accogliere il ricorso, ha dichiarato: “Sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica e psichica, la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che guardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua applicazione, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi elevati sia per la sfera psichica che fisica”. Scarica Sentenza
“Un testo irricevibile che non abbiamo sottoscritto. Quello che è stato firmato oggi, infatti, è un mero contratto politico. E la presenza del ministro Madia ne costituisce la prova lampante. Per tacere delle scadenze elettorali che hanno impresso un’incredibile accelerazione al tavolo, una vera e propria corsa, ancora più stridente se paragonata ai nove anni di stallo contrattuale”. Dopo il via libera al contratto per il comparto sanità, è questo il giudizio tranchant espresso da Andrea Bottega, segretario nazionale Nursind, che ha partecipato alla lunga maratona notturna all’Aran e che ha promosso oggi lo sciopero nazionale ed il sit-in a Roma degli infermieri. Questa intesa - rimarca il sindacalista - non dà risposte concrete ai molti problemi che affliggono il personale infermieristico, vera garanzia di qualità del Servizio sanitario nazionale”. Nel merito del testo, Bottega punta l’indice soprattutto contro “le mancate risposte su indennità ed esigibilità dei diritti, a riprova di un rispetto solo formale e non sostanziale della nostra professione” e, sul piano economico, “contro un aumento contrattuale inferiore agli 85 euro promessi”. Il segretario nazionale Nursind promette battaglia: “Adesso sottoporremo il testo al giudizio degli iscritti e insieme decideremo le prossime mosse. Non escludo - conclude - che ci saranno nuove mobilitazioni. D’altronde la contrarietà a questo accordo al ribasso è evidente già oggi, guardano alla folta presenza di infermieri al sit-in di piazza Santi Apostoli a Roma e alla grande adesione alle 24 ore di sciopero nazionale .
Un Contratto che nega le giuste aspettative di tutta la categoria dopo 9 anni di blocchi contrattuali! Mancati finanziamenti per il rinnovo contrattuale, il parlamento si è dimenticato in legge di bilancio 80 milioni di euro, deroghe sull’orario di lavoro, mancati sviluppi professionali.
La scrivente O.S. Nursind denuncia che da almeno 4 giorni prima del 7 dicembre 2017 la coordinatrice (che aveva fatto le sue richiesta di sostituzione ) e la direzione infermieristica erano a conoscenza che la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2017 non vi era copertura di personale. Scarica Lettera
La circolare chiarisce che per il personale medico, tecnico-professionale e infermieristico del Ssn restano comunque in vigore anche le norme della finanziaria 2016 che ha previsto i contratti di assunzione straordinaria la cui efficacia è prorogata al 31 dicembre 2019.La circolare dà indicazioni alle amministrazioni pubbliche che potranno partire subito con le assunzioni, a partire da gennaio 2018, per il triennio 2018-2020. Senza aspettare, dunque, il piano triennale dei fabbisogni, tenendo conto però dei limiti derivanti dalle risorse finanziarie a disposizione e delle figure professionali già presenti nella pianta organica. Sarà opportuno che le amministrazioni operino, comunque, una ricognizione del personale potenzialmente interessato e delle esigenze di professionalità da reclutare.
La scrivente Organizzazione Sindacale Nursind Comunica che In data 1.11.17 si è tenuto il primo tavolo tematico del comparto sanità avente ad oggetto “Classificazione, aree ed incarichi del personale”. In premessa ci è stato presentato quanto consegnato all’apertura dei lavori (in allegato), in particolare: 1. le aree prestazionali sono un insieme funzionale di lavoratori appartenenti a diversi profili. Le categorie e i ruoli non saranno superati, almeno per il momento. La divisione per aree serve a dare risposta ai nuovi modelli organizzativi e per una migliore gestione delle indennità e per valorizzare al figura dell’OSS. In prospettiva potrebbero superare i ruoli se inseriti in una modifica legislativa. 2. Gli incarichi verranno suddivisi in 3 macro famiglie: incarichi operativi manageriali (funzioni di coordinamento e Posizioni Organizzative), formativi (tutor e personale che partecipa ai processi formativi), e professionali (professionisti specialisti ed esperti). Di questi incarichi occorre stabilire i requisiti, la durata, il rinnovo, il modello di valutazione e la revoca. In coerenza con questa struttura vanno rideterminati altri due aspetti: 1. le risorse dei fondi contrattuali 2. le relazioni sindacali, in particolare di livello aziendale.
Ciò che stupisce di questa proposta datoriale è la condivisione delle sigle sindacali tradizionali (unica eccezione Nursind e N. U. che si sono schierati a favore della categoria che rappresentano). Infatti tutte le sigle sindacali, con diversi accenti ma in sostanza in accordo, hanno convenuto sulla necessità di valorizzare l’OSS attraverso la creazione dell’area funzionale socio-sanitaria e la rivisitazione delle indennità e degli incarichi come indicato da parte datoriale (su quest’ultimo punto unica eccezione la Uil che ha sottolineato la necessità di un ruolo certo per i coordinatori).
Il Direttore Generale della ASL di Pescara, con Delibera del 24 agosto 2017, ha provveduto alla nomina della commissione esaminatrice relativa al bando pubblico di mobilità per titoli e prove, per la copertura a tempo pieno e indeterminato di n. 13 posti di C.P.S. Infermiere (Cat. D). La scrivente organizzazione sindacale NurSind, esprime perplessità e contrarietà in merito alla designazione di un medico quale Presidente della Commissione esaminatrice. Corre l’obbligo citare testualmente la norma vigente di cui all’art. 38 del D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220: “La presidenza è affidata a personale in servizio presso l’Azienda che bandisce il concorso con qualifica di Dirigente sanitario per i profili del personale infermieristico”, con la possibilità di scegliere una figura analoga, esterna alla Asl, nell’ambito regionale.
La scrivente Organizzazione Sindacale Nursind viene informata da molti lavoratori in merito ai danni arrecati agli spogliatoi del personale del comparto, situati nei locali sotterranei, dovuti ai lavori di rifacimento del nuovo pronto soccorso siti nel piano superiore. Ci sono giunte segnalazioni di perdite di acqua pulita e sporca dal soffitto che hanno invaso il pavimento arrivando addirittura dentro alcuni armadietti bagnando abiti ed altro; cadute di calcinacci anche di grosse dimensioni che per puro caso non hanno colpito i lavoratori. Purtroppo ancora una volta bisogna constatare che i lavori non vengono effettuati con la dovuta programmazionee collaborazione tra gli uffici competenti, ma con improvvisazione, mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori.Considerato che l’ospedale deve erogare prestazioni sanitarie a tutela dei cittadini , i dipendenti ospedalieri delcomparto non dovrebbero mai esserne esclusi.
IN RIFERIMENTO ALLA LETTERA INVIATA ALLA ASL PESCARA RIGUARDO LA Violazione Art 2087 CC e DL 81 del 2008 problemi spogliatoi sotterranei PO Pescara per lavori di rifacimento Nuovo Pronto Soccorso Si Comunica Quanto Segue : La Direzione Medica Del Po Di Pescara Dott. Di Luzio mi ha comunicato tramite Pec (posta Certificata) di aver accettato la proposta del Sindacato Nursind riguardo lo spostamento momentaneo degli spogliatoi sotterranei atti a garantire la sicurezza del lavoratore e per permettere l’esecuzione dei lavori in sicurezza del nuovo pronto soccorso presso 8 piano ex locali Suore.
La Scrivente Organizzazione Sindacale NURSIND ha appresso dell’aggressione occorsa ad una infermiera, nello svolgimento del servizio, il giorno 6 agosto 2017 , presso l’Unità Operativa di Geriatria ala sud del P.O. di Pescara.L’infermiera aveva invitato presso l’uscita i parenti che si erano attardati oltre l’orario consentito di visita, per poter attendere alle attività di cura e garantire la privacy ad alcuni pazienti ricoverati lungo il corridoio.
In seguito al decesso di una paziente l’infermiera invitava i congiunti del defunto ad entrare, è in questa occasione che i familiari di un altro paziente manifestavano la richiesta di entrare ma dinanzi al diniego le inveivano contro con espressioni verbali e fisiche aggressive, ritenendo il divieto ingiusto e sostenendo che vi fossero dei favoritismi, affermazioni riferite palesemente infondate. L’aggressione subita, ha costretto l’infermiera a ricorrere alle cure dei sanitari presso il pronto soccorso, attivando la pratica INAIL, la denuncia all’autorità giudiziaria e la redazione della scheda di incident reporting. Le attività assistenziali, depauperate per l’infortunio dell’infermiera, hanno subito un rallentamento gravando unicamente sulla restante infermiera di turno e sui due OSS, un carico di lavoro di per sé faticoso accresciuto dal perenne sovraffollamento in cui versa l’unità operativa. Gli atti di violenza a danno del personale sanitario, nel P.O. di Pescara, si verificano sempre con maggiore frequenza nei reparti che hanno l’annoso problema del sovraffollamento: Geriatria, Medicina, centri di Salute Mentali, Psichiatria ed in particolare presso il Pronto Soccorso, eventi puntualmente denunciati dal sindacato NURSIND ma invano.
La O.S. NurSind della Provincia di Pescara ha ricevuto diverse segnalazioni inerente l'inadeguatezza della maggior parte degli ambienti di lavoro e delle sale di degenza della ASL Pescara, essendo sprovvisti di condizionatori o dove sono presenti (solo in alcuni locali) non funzionano per scarsa manutenzione.Inoltre in diversi reparti come Urologia ci sono stanze con condizionatori e locali privi di condizionatori che comportano per il lavoratore il passaggio repentino da alte temperature a basse temperature che impediscono all’organismo di adattarsi in modo così repentivo, circostanza che non garantisce le migliori condizioni del microclima nell’ambiente di lavoro e, più in generale, il benessere psicofisico della persona.
In base all’articolo 2087 del codice civile il datore di lavoro è obbligato a tutelare la salute e l’integrità fisica e morale del lavoratore, per fare ciò deve adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che sono necessarie, in base alla tipologia di lavoro e sulla base dell’esperienza e della tecnica. Il Microclima nel T.U. sulla salute e sicurezza sul lavoro Anche il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, D. lgs 81/2008, impone al datore di lavoro di valutare tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici, fra cui il microclima. Questi infatti possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, sia nell’immediato che nel lungo periodo. In tal senso quindi il datore di lavoro, nel redarre il DVR, documento per la valutazione dei rischi, deve tener conto anche del fattore microclima sul luogo di lavoro, sia che si tratti di un ambiente di lavoro troppo freddo, sia se al lavoro fa troppo caldo. Sentenza della Cassazione sul microclima a lavoro Anche la Cassazione ha riconosciuto al lavoratore il diritto di astenersi dal lavoro senza perdere il diritto alla retribuzione nel caso di temperature proibitive. Nell’ultima sentenza disponibile risalente al 2015, la Cassazione si è pronunciata in merito ad un caso di alcuni lavoratori che a causa del freddo eccessivo si erano astenuti dal lavoro. Cosa fare se al lavoro fa troppo caldo In conclusione il lavoratore, nel caso in cui a lavoro fa troppo caldo, può andare via e chiedere un permesso se: il caldo eccessivo è dovuto a malfunzionamenti degli impianti di climatizzazione; se il caldo è dovuto a eventi atmosferici eccezionali.
Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 04/07/2017 n° 16393 La Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato da un’azienda nei confronti di un proprio dipendente per superamento del periodo di comporto, in quanto la malattia era stata determinata dallo svolgimento di mansioni incompatibili con lo stato di salute del lavoratore.
La Cassazione ha confermato la sentenza d’Appello con la quale era stata accertata la illegittimità del licenziamento, rilevando che le assenze per malattia collegate allo stato di invalidità non possono essere incluse nel periodo di comporto se la persona è stata adibita a mansioni incompatibili con il proprio stato di salute oltre che, come accertato nel caso di specie, rese in un ambiente non idoneo allo svolgimento della prestazione lavorativa.
La Corte, nella motivazione della sentenza, ha ricordato che il datore di lavoro è sempre responsabile, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2087 c.c. della tutela della salute psicofisica dei lavoratori ed ha l’onere di adottare tutte le misure idonee a garantire l’effettività di tale tutela. Art. 2087 Tutela delle condizioni di lavoro. L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (1). (1) Si veda il D.L.vo 9 aprile 2008 n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.